Porta orientale del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, la Vallelonga si incunea nel cuore del Parco delimitata da catene montuose. A guardia della valle c'è lo splendido borgo di Villavallelonga, teatro di antiche e immutate tradizioni.
Una di queste, fra le più sentite, celebra i riti del santo rurale Sant'Antonio Abate, nei giorni 16 e 17 gennaio. La festa si articola in momenti ricchi di simbolismi non necessariamente legati solo a modelli ecclesiastici ma anche ad aspetti prettamente laici come l'accensione dei fuochi, forse collegati ai riti del solstizio d'inverno oppure la Panarda, il banchetto rituale come festa della redistribuzione dell'abbondanza del cibo.
I festeggiamenti hanno inizio il 16, giorno della vigilia, con l'accensione dei fuochi della “questua della legna” sparsi nei vari rioni e la preparazione delle “Pupazze”: grandi e pesanti strutture di legno e ferro rivestite di cartapesta e animate all'interno da robusti giovani.
Nella sfilata verranno riproposte le tentazioni di Sant'Antonio con i personaggi della leggenda dalle maschere cattive e diaboliche, che con catene e urla tenteranno di far paura ai numerosi bambini in abiti tradizionali. Naturalmente non manca il Sant'Antonio dall'immancabile lunga barba di stoppa. I bambini recano cesti con piccoli animali da benedire l'indomani, adornati con le beneauguranti “corone” di Sant'Antonio costituite da mele, mandarini, fichi secchi, ferratelle, realizzate dagli anziani per donarli ai più piccoli della famiglia.
A sera ha inizio il momento più significativo: la Panarda. Un grandioso banchetto che si protrae per tutta la notte.
Una tradizione orale racconta di un proprietario terriero, Mariano Silvestri, che non riuscendo a trovare mietitori disponibili, dichiarò incautamente che avrebbe ingaggiato perfino il diavolo pur di raccogliere quelle spighe. Immediatamente si presentarono degli uomini che si dichiararono disposti alla mietitura a patto che non fosse messo il sale nel cibo di mezzogiorno. Mariano dimenticò quella raccomandazione e, quando la moglie si presentò con il pranzo, i mietitori si lamentarono del sale. Questa stranezza meravigliò la donna che si segnò con la croce chiedendosi nel nome di Gesù, Giuseppe e Maria che gente fosse questa che mangia senza sale. L'invocazione mise in fuga precipitosa gli uomini che, dalle impronte caprine, si rivelarono essere demoni.
Invocando Sant'Antonio, che di diavoli se ne intendeva, la donna fece il voto di elargire in onore del santo un pranzo in beneficenza tutti gli anni a venire e fino alla fine della loro discendenza.
Naturalmente da allora la discendenza si è allargata visto che a Villavallelonga le famiglie che rispettano la tradizione sono una ventina.
La Panarda segue dei precisi rituali che iniziano con la recitazione del rosario da parte dei convitati seguita dalle “cantate” tradizionali in onore del Santo quindi il padrone di casa dà l'ordine di iniziare a servire gli ospiti. I commensali, come da etichetta, sono tenuti ad onorare le 50 e più portate servite dalle donne di casa.
La cena assume la connotazione di una festa dell'ostentazione e dell'abbondanza in onore di Sant'Antonio. Brodo di gallina e vitello, pecora al “cotturo”, maccheroni di “Sant'Antonio” carrati all'uovo con ragù di carne di pecora, ingorde di patate con carne di agnello e maiale al forno, fave lessate, carne lessa, frittelle di pasta lievitata, ferratelle, dolci tradizionali, frutta: queste sono le portate fisse che non devono mancare, poi il resto è affidato alla fantasia della padrona di casa.
Il servizio delle portate viene spesso interrotto da gruppi di cantori questuanti che fanno il giro delle famiglie “panardiere”. Queste compagnie questuanti sono ben accette e attese, le loro esibizioni sono ricompensate con cibo e denaro e hanno termine con gli immancabili bicchieri di vino.
Il banchetto ha termine all'alba quando le donne cominciano a lessare le fave per la “favata” del mattino. In questo ulteriore rito gruppi di persone distribuiscono scodelle di minestra di fave e fette di “panette” agli abitanti del rione.
Anche la “favata” nasce da un voto per grazia ricevuta, questa volta dalla famiglia dei “Pgnatune” (famiglia Bianchi).
La storia racconta di un lupo che, approfittando di un attimo di distrazione della mamma, strappò una bambina dalla culla; la madre, disperata, invocò l'aiuto di Sant'Antonio Abate promettendo un piatto di fave a tutti durante la festa per onorare il Santo per tutti gli anni a venire.
Sant'Antonio evidentemente operò il miracolo visto che il voto si è trasmesso sino ai giorni nostri da generazione a generazione.
Il 17 gennaio, dopo la processione con la preziosa statua lignea seicentesca del Santo adornata con corone di frutta, fave, ferratelle, il parroco procede alla benedizione degli animali e dei fuochi dove, in grandi pentoloni, vengono cotti i “ranati” , granturco lesso.
Tutto il giorno Villavallelonga è animata dalle sfilate delle Pupazze e delle maschere brutte o belle dando il via al Carnevale. Le maschere brutte, impersonate da uomini infagottati da vecchi indumenti imbottiti di paglia, col volto nero e corna rappresentano il demonio che tenta il Santo.
All'imbrunire il ballo delle Pupazze al suono di musiche contadine attrae tutti nella piazza. Quando i robusti ragazzi che animano dall'interno le pesanti strutture di legno, ferro e cartapesta sono esausti inizia il rito del fuoco liberatorio ma anche di rinnovamento: viene appiccato il fuoco alle grandi Pupazze.
Il rumore del crepitio delle fiamme viene rotto solo dal canto di commiato a Sant'Antonio, sommesso e melanconico, elevato dai numerosi giovani di Villavallelonga.
I riti legati alla festa di Sant'Antonio Abate e alla Panarda, celebrati a Villavallelonga, hanno suscitato l'attenzione di studiosi di folclore e antropologia tanto da candidare questa manifestazione nella categoria “Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità” dell'UNESCO.
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