Scanno, uno dei borghi più affascinanti del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, si raggiunge percorrendo da Sulmona l’altrettanto bella e selvaggia Valle del Sagittario. Percorsa ed ammirata meta turistica di numerosi viaggiatori già dal Grand Tour (lungo viaggio effettuato da giovani aristocratici in Italia a partire dal XVII secolo N.d.R.) sino in epoca contemporanea, la valle prende il nome dall’omonimo fiume che nasce sotto il Monte Godi con il nome di Tasso, per poi proseguire da Villalago in Valle Peligna con il nome di Sagittario.
“E’ bello il Sagittario, sai? E rompe e schiuma, giù per i macigni, mugghia, trascina tronchi, tetti di capanne, zangole, anche le pecore e gli agnelli, che ha rapinato alla montagna. E’ bello, sai?” questa la descrizione di Gabriele D’Annunzio nella Fiaccola sotto il moggio, (tragedia ambientata ad Anversa degli Abruzzi) dello scenario offerto allo spettatore da questo “sublime e terribile” canyon naturale. Proseguendo nella strada da Sulmona verso Scanno si incontrano paesi e borghi di estremo fascino, come la già nominata Anversa degli Abruzzi, Castrovalva e Villalago.Questi luoghi hanno evocato nei secoli una malìa fortissima per numerosi viaggiatori, scrittori, artisti e fotografi, che non si sono sottratti al richiamo. Anne Mc Donell (1908) ed Alfred Steinitzer (1911) ne hanno scritto nei loro “diari di viaggio”, l’incisore e grafico olandese Mauritius Cornelis Escher ci ha lasciato diverse litografie della Valle del Sagittario e di Scanno, il pittore inglese Edward Lear l’ha scelta per i suoi dipinti, fotografi del calibro di Cartier-Bresson, Scianna, Ashby, Roiter, Berengo Gardin e Lotz-Bauter hanno incoronato questo borgo come potente evocatore di immagini arcaiche e affascinanti.
Ed infatti ancora per noi contemporanei Scanno mantiene ferma un’atmosfera del tutto ancestrale, in cui è facile immergersi già dai primi passi.
L’origine del paese rimane ancora ad oggi non del tutto certa: sebbene siano state ritrovate lapidi, monete ed epigrafi di epoca romana, il primo documento che cita il borgo con il nome di Scannum è del 1067, in un documento con cui i Conti di Sangro cedono a Montecassino la valle che circonda il lago con il monastero di S. Pietro. Numerose le famiglie che nei secoli si sono succedute nel dominio del borgo, sino alla definitiva abolizione della feudalità da parte di Giuseppe Bonaparte nel 1806. Il XVIII secolo ha lavorato molto sul rinnovamento architettonico ed urbanistico del borgo, ma ancora oggi si intuiscono chiaramente l’originale struttura medievale ed il periodo rinascimentale con le logge ariose e decorate.
I vicoli scuri e bui, gli archi, le strettissime finestre tipiche del posto ci raccontano di un’architettura che dovette assecondare, senza piegarsi, i rigidi inverni abruzzesi: le case vennero costruite a “schiera”, l’un l’altra appoggiandosi, per resistere al vento e al gelo. Le minuscole finestrelle che si scorgono sulle facciate delle case dovettero servire a garantire la visibilità dei viandanti ma senza permettere che il gelo s’infiltrasse all’interno.
Le scale tipiche del borgo, dette “cemmause” erano luoghi sociali dove le donne sedettero assieme durante le ore di sole nei mesi estivi e primaverili a lavorare la lana o il “tombolo” raffinato merletto che adornava i corredi nuziali e i tessuti. Ma avevano anche una funzione pratica: le cemmause dovettero infatti servire a separare i piani bassi abitati dagli animali, da quelli più alti in cui alloggiavano le famiglie, ed a garantirsi un sicuro accesso alle case durante le abbondanti nevicate che ostruivano spesso il piano strada.
Interessante soffermarsi nella passeggiata verso la Fontana Sarracco, il cui uso originario era quello di abbeveratoio, poi rimaneggiata nei secoli. Più che una fontana è uno dei simboli del paese, e ci racconta con la sua architettura e scultura di una singolare tradizione. Lungo le bocchette dell’acqua sono infatti scolpiti quattro mascheroni, uno per ceto sociale: chi si abbeverava alla fontana si palesava pubblicamente nella sua appartenenza. I primi due mascheroni rappresentano il Re e la Regina (da cui potevano bere solo nobiluomini e nobildonne) lo Zoccolante (ovvero il ferratore di cavalli, da cui si abbeveravano solo i lavoratori) ed il frate cappuccino (riservato ai frati, preti, suore, viandanti ed elemosinanti). Vi è inoltre una fontanella più bassa, molto probabilmente per l’uso dei bambini.
Le antiche mura che costituivano il perimetro più esterno dell’antico borgo sono state abbattute nel XIX secolo, e le importanti chiese e palazzi che si ammirano lungo la “ciambella” (così è chiamata la passeggiata nel centro storico) testimoniano la grande floridezza che questo piccolo borgo raggiunse nel XVII secolo grazie alla caparbia volontà ed abilità dei suoi abitanti: donne, uomini e pecore.
L’industria armentizia produsse infatti grande ricchezza in questi luoghi, e sebbene sia attività faticosa e solitaria, gli abitanti di Scanno l’hanno portata avanti con grandissimo ingegno: la lana, in particolar modo la lana nera prodotta da una pecora autoctona, era richiestissima dalle grandi famiglie nobili in tutta Italia. Le donne di Scanno, da molti descritte come regine altere e di rara bellezza ma dotate d’altro canto di risoluta forza e tempra, erano abilissime nel filarla, lavorarla e tingerla. Il Museo della Lana a Scanno testimonia con gli utensili, i costumi e la cultura materiale le fasi della produzione e lavorazione di questo materiale, il cui passaggio cruciale è sicuramente quello della transumanza.
Oltre alla fiorente produzione della lana, gli artigiani di Scanno furono eccellenti orafi, lavoratori abilissimi della filigrana, ed oggi nelle numerose botteghe artigianali è possibile vedere la raffinata produzione delle “presentose”, delle “manucce”, dell’ “amorino”, e delle splendide “circeje”, importanti orecchini a forma di mezzaluna che hanno adornato il volto delle donne scannesi e che hanno popolato l’immaginario di pittori abruzzesi come Francesco Paolo Michetti. Molti di questi gioielli si intrecciano indissolubilmente con la storia ed i costumi del luogo. Ne scandivano il tempo, i passaggi sociali, lo status di famiglia. Scanno infatti fu e forse è ancora roccaforte di un mondo antico, profondamente legato e connesso alla sua storia, alle sue tradizioni folkloristiche, ad una natura bellissima ma anche dura, rigida e selvaggia.
Numerose sono le manifestazioni e rievocazioni folkloristiche, che ne scandiscono il tempo sociale ed anche lavorativo. Tra queste le più evocative forse sono “Ju catenacc” rievocazione dell’antico corteo nunziale che un tempo attraversava il paesino accompagnando la sposa prima in chiesa e, subito dopo nella casa del neo-sposo; la “Serenata delle chezette”, che si svolge il 5 Gennaio, canti e serenate appunto che gruppi di giovani del paese, vestiti con le caratteristiche cappe, intonano sotto le finestre delle ragazze del posto o a chiunque ne faccia esplicita richiesta, al fine di ottenere buoni cibi e dolci in ricompensa. Ma forse la più coinvolgente e spettacolare tradizione ancora in vita a Scanno è quella delle cosiddette “Glorie di S. Martino”: anche in questo caso in paese si agitano rumorose compagnie di questua, composte da ragazzi e bambini che portano un’enorme zucca svuotata e trasformata in lume. La Festa si festeggia nella vigilia di S. Martino, e coinvolge l’intera popolazione che costruisce le “Glorie”, enormi fascine di legna da ardere, lungo i poggi che circondano il paese. La festa dura quanto una notte, lunga abbastanza da scongiurare l’avvento del rigido inverno abruzzese, creando giochi di luce e calore straordinari. Non appena il fuoco comincia a languire la festa si sposta in paese, dove giovani, bambini e anziani suonano campanacci e strumenti musicali per tutta la notte, di solito confortati da buon cibo e vino.
Dopo aver passeggiato lungo le vie di Scanno è d’obbligo scendere dal paese ad osservare l’omonimo lago, posto a 922 m., tra il Monte Genzana e la Montagna Grande. Dista in maniera quasi simmetrica dai paesi di Scanno e Villalago ed è uno dei laghi di più vasta formazione naturale in Abruzzo, dovuto a uno sbarramento di frana. La formazione millenaria del lago si è prestata nei secoli ad alimentare leggende e fiabe sulle sue presunte origini ed abitanti. Tra queste la più nota è sicuramente quella della Maga Angelina, erudita in negromanzia, che formò il lago per difendersi dai suoi nemici, in perfetto stile da poema cavalleresco. Tuttavia, al di là delle leggende, reale è la bellezza di questo specchio d’acqua immerso nel verde, che offre ai visitatori spiagge e aree dove sostare.
Suggestiva ed incastonata lungo il perimetro del lago è la Chiesa dell’Annunziata, eretta nel 1697 ed aperta al culto nel 1702. Gli abitanti di Scanno decisero di costruirla per ringraziare la Madonna di una serie di presunti miracoli avvenuti in questo luogo: anticamente qui infatti si snodava un viottolo pericolosissimo, difficile da attraversare, che causò molte disgrazie. L’interno della Chiesa è arredato in stile neogotico ed è opera dello scultore Ettore Ferrari (1911-1912), che realizzò a Sulmona anche la celebre statua di Ovidio Publio Nasone in Piazza XX Settembre.
Oltre ai già citati paesi di Anversa, Villalago e Castrovalva, chi volesse approfondire una visita di questi luoghi non dovrebbe mancare una visita al paese di Frattura vecchia, paesino spazzato via dal disastroso terremoto del 1915. Ancora oggi è possibile osservarne i ruderi, di fianco la nuova Frattura, ricostruita in epoca fascista, dal cui belvedere si può osservare in tutta la sua magnificenza il lago di Scanno.
testo di Francesca Ferzoco guida turistica e storica dell'Arte
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